
Lucia Candiotto, maratoneta e ultramaratoneta
Giancarlo Noviello
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Lucia Candiotto, 56 anni portati veramente bene, ha un curriculum sportivo impressionante. Maratoneta e ultramaratoneta, ha accumulato nelle gambe migliaia di chilometri, tanto che ad oggi ha corso 87 maratone. Un percorso lunghissimo, iniziato con l’esordio alla maratona di Padova nel 2004 e proseguito con le maratone di Venezia, Treviso e Berlino e molte delle più importanti maratone nazionali e internazionali, tra cui quella di New York.
Ma la passione di Lucia, che vive a Villa del Conte nell’Alta Padovana, si è spostata gradualmente verso le gare di “endurance”, le mitiche 100 km.
Lucia, hai fatto dell’endurance un motivo di vita e soprattutto dopo tante gare ci hai fatto l’abitudine...
Ogni corsa ha una storia a sé e si riparte sempre da zero. L’esperienza aiuta moltissimo però bisogna stare attenti a non trasformarla in eccessiva sicurezza. Io che ho corso nel deserto del Sahara, in Oman e a Capo Verde, ho capito che ogni cosa ed ogni risultato deve essere conquistato con tanta fatica, rispettando in modo assoluto le regole del luogo. Cose facili nel deserto non ne esistono. Il deserto ti annulla in un attimo.
Facciamo un passo indietro. Come è iniziata la sua passione per la corsa?
Ho iniziato a correre a 14 anni con le prime campestri. Ho provato a praticare la pallavolo, ma senza successo. Con la mia compagna inseparabile Lorenza De Franceschi, ci siamo iscritte all’Atletica San Rocco e sotto la supervisione tecnica di Paolo Santello, ho iniziato ad ottenere i primi successi con le gare su strada. A gennaio del 2004 ho pensato di correre la mia prima maratona, scegliendo quella di Padova. In quel periodo mio marito lavorava all’ospedale di Dolo e conobbe Paolo Santello che diventò, poi, il mio allenatore. Lui disse a mio marito: "mandami tua moglie una domenica e la proviamo". Qualche settimana dopo, provai a correre la prima mezza maratonina dei Dogi, una corsa non competitiva, e riuscii a portarla a termine con un crono davvero sorprendente: 1h55’. Paolo Santello rimane esterrefatto dalla mia prestazione, anche perché mi allenavo solamente una volta a settimana. Da lì iniziò tutto e la mia prima maratona a Padova la terminai in 4h07’. Mi emozionai moltissimo sotto l’arco dell’arrivo e fortunatamente la vita mi diede una seconda opportunità.
Nel 2010 si iscrisse alla 100 km del Sahara.
Mi ero convinta che era tempo di alzare ancora di più l’asticella e incontrai Adriano Zito, l’organizzatore della 100 km del Sahara. Nel 2011 dovevamo partire, ma all’ultimo momento arrivò la comunicazione che era in atto la cosiddetta “primavera araba”, con i tunisini che scappavano disperatamente dal loro Paese, Quindi siamo ritornati a casa. Abbiamo lasciato i soldi delle nostre quote di iscrizione a Zito e siamo ritornati l’anno dopo, nel 2012. In quel luogo ostile ho percepito un silenzio assordante, il deserto è il mostro che prova a smontarti in tutti i modi, si incastra nelle tue debolezza; insomma è una lotta a due. Ho corso gli ultimi 20 km sulle dune morbide, alte, mutevoli e rosse; e qui ho visto uno dei tramonti più belli della mia vita, il cielo e la terra erano infuocati. Il deserto marocchino ti permette di godere di un tramonto che più rosso non si può,
Nel 2015 e 2016 arrivano la 150 km no stop a Boavista e la 165 km in Oman.
Esattamente. L corsa no stop di 150 km, sull’isola dell’Arcipelago di Capoverde è una gara massacrante. Eravamo solo in quattro donne, due si ritirarono lungo il percorso e siamo rimaste in due, io e una portoghese. Avevo tanta adrenalina e non mi sono mai fermata con la corsa, nemmeno di notte; ad un certo punto, dopo aver oltrepassato alcuni checkpoint, mi dissero che mi trovavo in seconda posizione nella classifica generale. L’atleta che mi precedeva aveva un gap di 40 minuti, un largo margine di vantaggio. La terminai in 30h37’. Nel novembre del 2016 partecipai alla Oman Desert Marathon, nell’est del Sultanato dell'Oman, nella regione di Wilayat Bidiyah. Sei tappe e sei diverse prospettive di uno dei più bei deserti del mondo: sabbie rosse, dorate e bianche che resero quel viaggio unico e sempre diverso, in uno scenario che non conosce la monotonia. Quella corsa la dedicai ad Enrico Busatto, il triatleta di Cittadella prematuramente scomparso a causa di un infarto. Da quell’esperienza ritornai con il tendine destro lesionato.
Cosa l’ha spinta a correre nei deserti del Sahara e dell'Oman?
Le corse nel deserto mi hanno sempre affascinato parecchio. Correvo e mi dicevo che un giorno mi sarei allineata alla griglia di partenza di queste gare magiche. Sei solo con te stesso o, al massimo, con gente di altri Paesi che non conosci. Viene messo in gioco lo spirito di adattamento, giorno dopo giorno, tappa dopo tappa. Ogni atleta si porta il cibo che gli serve per i giorni previsti che possono essere da 2-3 fino a 6-7. Ognuno deve organizzarsi in base alle proprie forze e fabbisogni. Quello che ti forniscono è una tenda per dormire e acqua, ma solo per bere, non per lavarti,:in molti di questi posti è preziosa.
La gara più difficile che ha affrontato?
Indubbiamente la 250 chilometri in Mongolia. Si tratta dell'ultra maratona di sei tappe in sette giorni che si compone di quattro maratone in quattro giorni consecutivi, poi 77 chilometri da percorrere in un solo giorno, una giornata di riposo e un percorso conclusivo di 16 chilometri. Il tutto con un zaino di 12 chili da portare sulle spalle, riempito di tutto l'occorrente per vestirsi, dormire e mangiare. Mi sono messa addirittura a piangere dal dolore per le vesciche ai piedi…ero pronta a ritirarmi. Ricordo ancora l'ultima tappa, lunga 87 chilometri, affrontata dalle 8 di mattina fino alle 23 di sera. Una dolorosa agonia.
Infine, dopo lo stop del Covid, la 100 km del Passatore
Ho partecipato alla 100 km del Passatore dopo i due anni di covid. Sono riuscita a chiuderla con un risultato sorprendente: 13 ore e 36 minuti. Correre il Passatore è stato un sogno che avevo custodito nel cassetto per un intero anno. Una gara preparata dopo aver corso cinque maratone. Correrla e completarla è stata un’emozione infinita dal primo all’ultimo metro. Sicuramente una gara non per tutti: ci vogliono tanta testa e tante gambe per completarla, la concentrazione è indispensabile.
I prossimi obiettivi?
Tra i sogni nel cassetto, macinare chilometri ai confini del mondo, nel deserto di Acatama in Cile o in Namibia, puntando a quota cento maratone e con un pensiero comune a tutto: correre sempre per il mio caro papà Mario. I miei pensieri di corsa volano sempre dritti a lui.
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