
La storia di Daniela Buranello: maratoneta e fondatrice della Onlus 'Il sorriso di Giovanni'
Giancarlo Noviello
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La storia sportiva di Daniela Buranello, maratoneta per passione, inizia nel 2012 e coincide con l’esordio della prima maratona a Venezia e la conclusione dei primi due anni di cure oncologiche del figlio Giovanni, malato di leucemia.
Nel 2015, le condizioni di salute del piccolo Giovanni diventano critiche e il cuoricino cessa di battere per sempre. Daniela, non demorde, e nonostante il grande dolore che si porta dentro, corre la seconda maratona nel ricordo di suo figlio e la corsa diventa con il tempo un’attività che le permette di dedicarsi più a se stessa e ad “ascoltare il corpo e la mente".
"Una maglietta ed un paio di pantaloncini, e uscivo per una corsa di circa un’ora - sono le prime parole di Daniela, cariche di emozione - Ad ogni passo lasciavo un po' di ospedale e mi ricaricavo respirando la natura, il cielo, i fiori, gli alberi, i rumori. Anche una giornata di pioggia mi ricaricava, mi aiutava a stare bene ed entrare in sintonia con la vita. Ho imparato a percorrere e orientarmi calcolando i diversi percorsi in base al tempo che avevo a disposizione".
""Tuo figlio è in ospedale e tu corri? Era la prima domanda che mi facevano gli amici - continua - Eppure, io in ospedale dormivo tutte le notti. Davanti a me c’erano le mattine lunghe e infinite, il pomeriggio poi arrivava il papà ed io preferivo sostituire il caffè con una sana corsa, che mi svuotava la mente. Nei periodi in cui eravamo a casa mi alzavo prestissimo per poter ritornare alle sette prima che Giovanni si svegliasse, e per accompagnare Giacomo, l'altro mio figlio, a scuola. Quello che mi donava un’ora di corsa mi permetteva di affrontare anche i momenti più bui della giornata. Partivo con il pigiama sotto, mettevo solo i calzini e le scarpe di corsa e un piumino sopra fino alle ginocchia . In quel periodo ero stanchissima, ma sapevo che comunque mi sarei ricaricata di nuove energie che dovevo donare a qualcuno che ne aveva più bisogno di me. Di momenti tristi durante il giorno ce n’erano tantissimi. Forse la cosa più difficile è stata dare sempre tante pastiglie a Giovanni: in alcuni periodi ne contavo più di quaranta al giorno".
Daniela, poi, nel suo racconto, ricorda un episodio molto bello che le è rimasto nel cuore.
"Un giorno, dopo la mia corsa pomeridiana, mi feci la doccia prima di entrare nella camera di Giovanni in ospedale. Era sul letto che giocava con il papà, era molto gonfio a causa del cortisone ed aveva perso tutti i capelli. Sono entrata ed era un raggio di sole bellissimo, con i suoi occhi ed il suo sorriso: 'Giovanni che bello che sei!' e lui mi rispose:'Mamma per essere belli basta essere se stessi'. Questa risposta così spontanea ricevuta da un bimbo di appena cinque anni mi arrivò dritta nell’anima".
Un messaggio importante che Daniela portò dentro di sé e la convinse a correre la seconda maratona per dedicarla a Giovanni.
"La seconda maratona rappresentava la fine di due anni di terapie e l’inizio di una nuova vita. Non ho fatto più nessuna gara, solo la seconda maratona, lo stesso anno che Giovanni ha lasciato questo mondo - continua- E così l'ho corsa: due anime, due cuori, due respiri, uniti per sempre. La corsa è diventata sempre più per me un modo per meditare, per lasciare che mi attraversi l’infinito, per fare un dono a me stessa. Ho iniziato così a correre ed insieme a fare qualcosa per gli altri, come spingere con un gruppo delle carrozzine, per arrivare ad un traguardo lasciando qualcosa di vero e non solo numeri e tempi che scorrono veloci su un orologio. Anzi, devo dire che il classico orologio da runner non lo ho mai desiderato, perché era più bello correre libera e far volare la mia anima".
E, poi, arrivò una corsa più lunga di una maratona, ovvero la 100 km del Passatore, che lei dedicò a Giovanni.
"Esattamente. Giovanni un giorno mi chiese : 'Mamma, ma c’è una corsa più lunga di una maratona?' 'Sì! amore, c’è il Passatore, ed è lunga cento chilometri!' risposi. “Mi prometti che un giorno la farai?' Mi incalzò 'Certo' replicai sorridendo. E così ho corso il Passatore, cento chilometri partendo da Firenze fino a Faenza. Con Giovanni nel cuore, con tutto quello che è stato in cinque anni di terapie tra momenti facili e leggeri, difficili e difficilissimi che hanno creato tanto dolore dentro ed intorno a tutti noi. Ho vissuto questa malattia anche come un cammino di consapevolezza ed una esperienza che mi ha anche regalato una parte di me, che ancora non conoscevo".
Dopo la morte di Giovanni, è arrivata anche la volontà di creare una Onlus per sviluppare di nuovi metodi per la produzione di linfociti capaci di riconoscere ed eliminare alcuni virus causa di malattie gravi dopo il trapianto di cellule staminali del sangue. Si chiama “Il Sorriso di Giovanni”, e nasce per realizzare progetti concreti per famiglie, bimbi e ragazzi, nonché medici ed infermieri coinvolti in questi lunghi percorsi, alle volte molto dolorosi.
Il suo ultimo progetto è una raccolta fondi a supporto del Laboratorio di Trapianto di Cellule Staminali Ematopoietiche della Divisione di Oncoematologia Pediatrica di Padova.
"La possibilità di generare in modo efficiente linfociti specifici per questi virus - spiega Daniela - potrebbe migliorare la sopravvivenza di pazienti di età pediatrica e giovane-adulta che dopo il trapianto, eseguito per curare patologie oncologiche o ereditarie, sviluppano infezioni gravi che non rispondono a trattamenti antivirali convenzionali. Mentre un bambino sano se acquisisce un’infezione virale può contrastarla con il suo sistema immunitario e, in caso di necessità, con i normali antivirali disponibili sul mercato, un paziente che è stato sottoposto a trattamenti che deprimono fortemente la funzione del sistema immunitario, come il trapianto di cellule staminali ematopoietiche, non è in grado di farlo. Per questi pazienti, infatti, accade spesso che le terapie antivirali disponibili non siano sufficienti a controllare l’infezione. In questi casi può essere necessario incrementare la capacità di neutralizzare l’infezione fornendo dei linfociti funzionali e specifici, capaci di riconoscere ed eliminare il virus. In parole semplici, è come creare un vestito tagliato e cucito a mano direttamente per quel paziente: ottimizzare la produzione di “vestiti” specifici per i virus che colpiscono questi bambini e poi poterli generare in prossimità della sede dove i pazienti sono trattati, garantendo un pronto utilizzo, è molto importante per offrire una reale opportunità di cura ai piccoli. E' un obiettivo complesso e che richiede molto impegno in termini di risorse umane e strumentali. Ecco perché ho decisto di lanciare una raccolta di fondi per sostenere il Laboratorio di Trapianto di Cellule Staminali Ematopoietiche della Divisione di Oncoematologia Pediatrica di Padova nel suo impegno per la realizzazione di questo progetto. Il desiderio più vero per un genitore è quello di poter salvare suo figlio e poter uscire quanto più velocemente possibile dalla malattia, che proprio nei percorsi oncologici è sempre lunga ed incerta".
Responsabili del Progetto la Prof.ssa Biffi (Direttore della Unità Operativa Complessa di Oncoematologia Pediatrica di Padova) e la Dott.ssa Tumino (Medico Trapiantologo dell’Unità Operativa Complessa Oncoematologia Pediatrica di Padova).
Al progetto ha dato il suo supporto CentroMarca Banca.
E' possibile fare un'offerta utilizzando il codice IBAN IT59 C087 4936 1600 0000 0465 146 - Causale: Una risorsa in più per l’Oncoematologia Pediatrica di Padova
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