Riprendere dalla pratica sportiva, esattamente da dove aveva lasciato. Ma cercando nel frattempo di essere utile a chi si trova in situazioni simili. Lei è Chiara Maniero di Cadoneghe, classe 1981, impiegata di professione, costretta da un anno alla sedie a rotelle dopo una vita tra pallavolo, beach volley e palestra.
Era il 20 giugno quando si è sentita male durante una seduta di allenamento a beach volley. «Ho sentito un dolore al torace molto intenso, finché mi sono venute meno le forze –spiega-. Mi hanno portato in ospedale e nei giorni successivi mi hanno diagnosticato una lesione alla colonna spinale e lo stato di paraplegica. Purtroppo la mia sventura è davvero rara, è dovuta allo schiacciamento di una vertebra, all’inizio gli stessi medici hanno fatto fatica a riconoscerla».
Quindi un lungo calvario tra i nosocomi di Padova e Vicenza, due settimane in neurologia e quattro mesi per una prima, seppur lenta e difficile, riabilitazione. «Poi mi hanno riportato a casa, ma non ero ben lontana dall’essere autosufficiente. Per fortuna il mio compagno e mia mamma mi hanno sempre aiutata e seguita ogni giorno».
La conquista dell’autonomia quasi piena è il primo obiettivo della nuova vita di Chiara. Che da settimane prova ad accettare questo durissimo cambiamento e a ripensare la propria vita, facendo appello alla grande forza di volontà che la caratterizza. «Intanto ho creato una pagina Instagram, Veneto Accessibility, in cui recensisco l’accessibilità dei locali della nostra regione per i disabili: in tanti posti mancano purtroppo le caratteristiche essenziali».
Ci sarà il lavoro da riprendere. «Sono ancora in malattia, ma una volta finito questo periodo dovrò lavorare a lungo da casa perché la sede non è ancora attrezzata per le mie nuove esigenze».
E soprattutto lo sport. «Quando farò ulteriori progressi con la riabilitazione, intendo riprendere con qualche disciplina. Il primo pensiero, visto il mio passato, era andato alla pallavolo o alla beach volley da seduti. Purtroppo non è fattibile nelle mie condizioni, perché presuppone di poter usare l’addome e questo per me non è possibile. Per cui guardo a qualcos’altro come scherma, basket in carrozzina o ping pong: conosco già persone disabili che lo fanno».
La sfida è lanciata. E già vinta.
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